Sabato 17 febbraio 2024 le Comunità OCDS della Provincia Ligure si sono ritrovate presso il Santuario di Gesù Bambino di Arenzano per il primo incontro di Formazione provinciale 2024.
Una bellissima giornata di sole ha fatto da scenario al primo incontro di formazione ed è stato piacevole poter incontrarsi con tante persone (circa una sessantina) provenienti dalle varie comunità e con esse partecipare, prima di tutto, alla santa messa, presieduta da padre Federico Barbieri (delegato dell’OCDS), con il cuore pieno di ringraziamento per poter essere assieme davanti a Gesù Eucaristia.
Finita la celebrazione, è stato un susseguirsi di abbracci e saluti, tale era la gioia del nostro ritrovarci. Successivamente, raggiunta la sala teresiana, dopo una preghiera iniziale di invocazione allo Spirito Santo, il Presidente provinciale ha dato il benvenuto, ringraziando Il Signore e calorosamente tutti per la presenza e ricordando chi, per impegni o per salute, non ha potuto partecipare; ceduta la parola a padre Barbieri, l’attenzione si è focalizzata sulla riflessione “Mosè, l’amico di Dio”.
L’esperienza di Mosè è fondamentale: rappresenta una tappa imprescindibile del rapporto umano-divino, “Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico” (Es 33,11); si capisce, quindi, come l’esperienza di Mosè sia un simbolo dall’alto valore sapienziale e diventa ispirazione per qualsiasi rapporto con il divino, per chiunque voglia una “stella polare” da seguire nel proprio cammino di avvicinamento al Signore. Nel momento in cui nasce l’amicizia, Dio e Mosè sono lontanissimi: il primo è “l’Altissimo nei Cieli”, mentre il secondo è un semplice pastore a Madian; le premesse appaiono pessime, tuttavia sappiamo che nulla è impossibile a Dio e quando Lui realizza qualcosa, in questo caso un rapporto di valore, comunica sempre una grazia, una salvezza, proprio come avviene nei sacramenti.
Mosè è pastore che, cercando pascoli lontano dal resto della sua tribù, è solo; ha una moglie, dei figli, vive delle relazioni, ma si capisce che in quel momento prova una solitudine che si può definire “esistenziale”, comune a tutti gli esseri umani, come se i rapporti che già ha non gli bastassero; in questa sua condizione di solitudine avviene il fenomeno inspiegabile del “fuoco che non consuma il rovo” e quella fiamma rappresenta l’immagine del desiderio di pienezza, della ricerca di qualcosa che riempia il vuoto che Mosè ha dentro. Quel fuoco “brucia, ma non consuma” e ciò ci porta a comprendere che Mosè (come del resto tutti noi) esige la scoperta di una realtà che permanga, che non perisca, come tutte le cose umane, che non si esaurisca: è il desiderio di eternità che ognuno possiede. Ogni persona cerca l’eternità e così è anche per Mosè.
Questo specifico desiderio si trasforma in curiosità, che lo spinge ad avvicinarsi al roveto ed è solo grazie a questo coraggio che inizia a udire la voce di Dio, che ha atteso di vedere Mosè avvicinarsi per chiamarlo. Nel momento in cui lui risponde “Eccomi!” avverte corrispondenza tra quella chiamata e il desiderio di pienezza che ha dentro e finalmente troverà risposta con un’amicizia vera, un rapporto in cui non si deve dimostrare nulla e tutto si svolge in maniera gratuita.
Dio, dimostrando di avere altri legami, di non essere un solitario, di avere memoria, tiene al popolo d’Israele, di cui sente la pena e porta la cura; Mosè, allora, capisce che deve farsi carico delle “altre amicizie” se vuole restare con Dio, entrando in un nuovo “territorio”, la fraternità, che, da imprevisto, si trasforma in occasione di crescita e dimostra quanto Dio abbia bisogno di Mosè per liberare il suo popolo dall’Egitto.
Dio, infatti, si “abbassa” a chiedere aiuto a Mosè, sapendo che così lui e il suo popolo saranno innalzati nella libertà e nel raggiungimento della “terra promessa”. Vien da sé il parallelismo con Gesù: il Signore si “abbassa” divenendo uomo nel grembo di Maria per innalzare l’umanità nella salvezza donata da Cristo.
Nel dialogo tra Dio e Mosè, non c’è nulla di realizzato, ma solo la percezione di qualcosa che, in futuro, sarà grande. Alla precisa richiesta di Dio (“Ora va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”, Esodo 3,10), Mosè assolutamente non la vuole fare e lo spinge a cinque obiezioni. Non una: ben cinque! Le obiezioni a Dio sono normali, anzi sarebbe un male se non ci fossero: indicherebbe una mancanza di pensiero, un’assenza di riflessione ed una certa passività.
All’imperativo di Dio, Mosè risponde con una prima obiezione: “Chi sono io per andare dal faraone e per far uscire dall’Egitto gli Israeliti? (Esodo 3,11), dimostrando che l’amicizia è fatta anche di discussione, di due soggetti che si confrontano; il Signore, allora, controbatte tranquillamente: “Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte.” (Esodo 3,12). Segue subito un’altra obiezione: “Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?” (Esodo 3,13), a cui Dio, sempre tranquillamente, risponde: “«Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi.»” (Esodo 3,14); in quel “Io Sono” è come se Dio dicesse: “Fidati: tu inizia, vai e tutto ti sarà chiaro cammin facendo. Io sarò con te.”, come se chiarisse che si farà conoscere poco a poco, con il tempo e l’esperienza. Nella terza obiezione, Mosè dice: “Ecco, non mi crederanno, non daranno ascolto alla mia voce, ma diranno: «Non ti è apparso il Signore!»” (Esodo 4,1), proseguendo un confronto che è quasi una “lotta corpo a corpo” con Dio, il quale ribatte con una lunga risposta (Esodo 4,2-9) in cui gli dimostra che sarà dalla sua parte con segni e prodigi; Mosè, però, non è rassicurato e continua con la quarta obiezione: “Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri, né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua.” (Esodo 4,10), dimostrando di soffrire di balbuzie. I difetti fisici non sono condizionanti nelle amicizie e il Signore non bada a questi limiti quando sceglie qualcuno per i suoi piani, per questo ribadisce, un po’ spazientito in verità, che: “Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire.” (Esodo 4,11-12), sottolineando ancora che non lo abbandonerà, sarà con lui concretamente. Si arriva, infine, alla quinta obiezione: “Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!” (Esodo 4,13), come a dire: “Non mi hai convinto, non ti credo!”; è qui che il Signore si arrabbia davvero, dimostra di accettare definitivamente l’amicizia “travagliata” con Mosè e, in quattro versetti (Esodo 4, 14-17), trova la soluzione: a parlare sarà il fratello di Mosè, Aronne, ma il bastone, segno del potere di Dio, sarà sempre in mano a lui.
Da queste cinque obiezioni scopriamo le paure umane di Mosè e come il Signore le comprende: il primo cede facendosi convincere dal progetto di salvezza di Israele, il secondo cede discutendo sulla Sua volontà e trovando soluzioni per venire incontro al suo interlocutore; abbiamo, così, la dimostrazione di un’amicizia in cui entrambi i soggetti sono determinati e che si sviluppa nella dolcezza e nella malleabilità, in un rapporto dinamico che deve essere aperto agli altri, come dimostra l’ingresso di Aronne.
In poche parole, per concludere, l’amicizia, anche quella umana, deve essere fatta di fermezza, tenerezza e apertura.
Giornate come queste, fatte di formazione e amicizia, scaldano il cuore e sono un vero dono del Signore.
Ringrazio di far parte dell’Ordine secolare carmelitano il quale, con il suo carisma, ha cambiato la mia vita.
Anna del Sacro Cuore di Gesù
OCDS IM